I hope you have fun

Amanda non si sarebbe dovuta addormentare. Era chiaro che lo avrebbe fatto, insisteva nell'avermi lì accanto mentre stava guardando Cars. Ho sperato dormisse per tutto il pomeriggio, e alla fine è crollata alle 18.20 e tenendo conto che di media dorme dalle due alle tre ore, come direbbero in Francia, mo' so cazzi. Ho provato a tenerla sveglia dandole degli zuccheri, tipo 4 biscotti al cioccolato, ma gnente, si è messa le manine giunte sotto la guancia e si è addormentata mentre ero ai fornelli nella speranza di cucinarle il pasto più veloce del mondo e spedirla a letto.

Non avrebbe dovuto addormentarsi, dicevamo, ma visto che uno dei miei pregi è fare spallucce alla vita, mi sono stappata una bottiglia di prosecco per uno spritz homemade, ho aperto una terrina di patè, spalmato un po' di burro su del pane di segale e a pioggia sopra le acciughe, messo su un tagliere due fette di salame e due olive et voilà. Aperitivo casalingo ci sono, eccomi, sono qui per te.

E allora ne approfitto anche per ascoltare il nuovo disco dei Calexico che hanno fatto uscire per Natale. C'è una canzone dentro questo disco, una cover, che per me è qualcosa di speciale. La canzone in sé penso non lo sia, o meglio, non più, vi uscirà dalle orecchie, e anche per me è così. Come sempre succede i capolavori li diamo un po' per scontato, come se fosse ovvio che siano belle canzoni, e le hai sentite così tante volte che hey, mica le vorrai ascoltare anche sotto la doccia o mentre vai a correre.

La canzone è "Happy Xmas" di John Lennon ed è uno dei miei punti deboli.
Mi ricorda fortissimamente una delle settimane bianche che facevo con l'oratorio a San Bernardino in Svizzera. Un anno erano saliti ad un certo punto anche dei ragazzi della parrocchia di Monza dove prima stava il prete che era venuto da noi. Erano venuti in due, Marco e l'altro non me lo ricordo. 


Marco non era particolarmente bello, assomigliava vagamente a Lennon, stessa montatura degli occhiali, stesso taglio di capelli. Denti davanti un po' sporgenti, timido, molto timido. Ma mi fa ridere perché è chiaro che non me i timidi si trovano a loro agio e sbracano. O meglio, io ancora oggi non so cosa diavolo sia successo, ma sta di fatto che 'sto Marco ai tempi mi aveva turbata tantissimo e ci avevo anche dedicato un tema a scuola... una figura di merda mai vista, che vedeva me scrivere di questo amore platonico bellissimo e sconcertante.

Ora, ricordo perfettamente, ma come è nomale che sia, che non c'è stato niente, ma dico NIENTE, tra me e questo Marco. Eppure, per me ragazzina della seconda superiore, c'è stato TUTTO. Perché in quel pomeriggio di neve, mentre si era tutti in casa dopo pranzo, nelle ore dedicate allo studio, alla lettura e al relax, io sono entrata in questa stanza al mezzanino dove lui stava studiando per un esame di architettura. Ho varcato la porta e non so cosa devo aver detto, ma poco dopo ero seduta su uno dei bachi dell'aula e lui stava lì, seduto, in silenzio, rosso in viso ma con il sorriso, a guardare 'sta cretina con il pile della Vuarnet che gli parlava Dio solo sa di che cosa. Lui aveva un astuccio sul tavolo, aperto, da cui usciva una sorpresina Kinder, tipo un gattino sdraiato che si incastrava a una pergamena: "E' il mio gatto architetto, un portafortuna". Ricordo che mi aveva fatto anche altre domande. Cosa mi piacesse e cosa no. E chissà che cazzo di riposte devo aver dato, Stava lì, a chiedermi cose, a guardarmi atteggiare, a vedermi evaporare dalla scemenza che producevo. Eppure era rimasto colpito. Non so perché e non so in che forma, sicuramente non in quella in cui avevo investito tutto il resto della vacanza, passata ad ascoltare, chiaramente "Happy Xmas" a pensando a lui. Ma qualcosa lo aveva colpito. Me lo aveva farfugliato, ma di certo deve avermelo concesso come pensiero intimo, del tipo: "sei una bella personcina". Fine, morta lì. Io invece non potevo già più vivere senza di lui. L'avevo anche chiamato a casa una volta tornati dalla montagna. Mi ricordo un obiettore di coscienza che faceva il servizio civile in oratorio da me, era di Monza anche lui: "Dani ma cosa te lo do a fare il numero?". Dammelo e basta. Era questa la mia risposta.

Fabrizio il numero era meglio se non me lo dava, visto che durante una festa di Carnevale (Carnevale, erano passati due mesi, io ancora in fissa...) l'ho chiamato dal pulmino dell'oratorio e gli ho farfugliato parole a caso. Marco mi aveva risposto eh. Mi aveva detto qualcosa del tipo non so cosa dirti, cosa vuoi che faccia, e dai quando capita che ci vediamo ne parliamo. 

Per fortuna poi ci siamo rivisti alle festa di fine anno all'oratorio, in estate, ma io ero già altrove. L'ho guardato, gli ho fatto un sorrisone. Lui si era tagliato i capelli. Non c'era più la neve, non eravamo più a chilometri di distanza da tutto, solo io e lui. Non era più il mio John Lennon. Bye Bye.








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